Il buco (“El Hoyo” nella versione originale spagnola) è il controverso film horror-fantascientifico approdato il 20 Marzo su Netflix. Vincitore del premio del pubblico al Toronto Film Festival e di quattro premi al Sitges, ha fatto subito parlare di sé per le tematiche trattate, le citazioni e per il particolare linguaggio adottato.

Trama

Per la regia di Galder Gaztelu-Urrutia ”il Buco” (2019) è un film  di genere horror- thriller distopico. Goreng (Iván Massagué), il protagonista, si risveglia  in una prigione verticale, strutturata su più livelli e attraversata al suo centro da piattaforma che, dal primo livello, scende fino in fondo. Questa piattaforma ogni ventiquattro ore imbarda di buon cibo cucinato da un’equipe di chef maniacalmente perfezionisti, ma il banchetto ovviamente si riduce man mano che la piattaforma scende verso i livelli inferiori.

Il Buco ha le sue regole.

Il cibo deve essere consumato appena la piattaforma raggiunge il livello designato, e nessuno può conservarlo. Pena: la stanza si scalderà o si raffredderà a tal punto da causare la morte degli ospiti. Ognuno di loro  può portare con sé un solo oggetto, e Goreng ha scelto il “Don Chisciotte della Mancia” di Miguel de Cervantes Saavedra. Gli ospiti della struttura sono personalità variegate, criminali e persone che scelgono, per i più svariati motivi, di soggiornare in quello che diventa sempre più un incubo fisico e psicologico. Ogni mese, tuttavia, i prigionieri vengono prelevati nel sonno (opportunamente addormentati con un gas) e ricollocati in un livello differente. E il macabro gioco comincia qui: ognuno di loro ha l’occasione di vivere nella ricchezza e nella povertà, a seconda di come gira la fortuna e, nelle situazioni più disperate, delle intenzioni compagno a loro assegnato.

La metafora della lotta di classe

Fin dai primi minuti si capisce immediatamente che l’intero film è una grande metafora delle differenze sociali fra chi ha a disposizione ogni tipo di ricchezza e chi, invece,  deve sopravvivere  nella mancanza di risorse senza sapere potrà svegliarsi il giorno dopo. Nella scala sociale del sistema capitalistico coloro che occupano i livelli più alti consumano più di quanto è loro necessario, senza curarsi di lasciare qualcosa ai livelli più bassi, e anzi rovinando l’integrità delle risorse destinate a loro. Gli indigenti finiscono per combattere per la sopravvivenza, uccidendosi e mangiandosi: il cannibalismo diventa una schietta rappresentazione della lotta sulla prevaricazione dell’altro.

In un modo o nell’altro ricchi e poveri  sono accomunati dalla perdita propria umanità, in un’ inesorabile metamorfosi che li rende bestie furiose alla mercé dei propri istinti.

Per evitare di alimentare questo meccanismo  c’è bisogno della scintilla della rivolta, e l’unica rivolta possibile, nel Buco, è la solidarietà che non nascerà mai spontaneamente. Ma chi sarebbe disposto a rinunciare alla propria ricchezza per darne anche a chi occupa i gradini più bassi della struttura? E chi, tra i più disperati, è in grado di acquisire una tale visione di insieme?

Perché cambiare?

Goreng, fermamente convinto di dover lanciare un messaggio  all’Amministrazione, si avventura in un viaggio verso i bassifondi del Buco, in un’estenuante, violenta lotta contro le ribellione dei detenuti per  distribuire razioni di cibo ai più svantaggiati, e per far sì che  il messaggio (identificato nel film come la pannacotta presente tra il cibo della pedana) arrivi integro fino alla fine, per poi risalire verso i vertici della struttura.

Cos’è il messaggio?

La speranza, un’ideale per cui vale la pena soffrire e forse morire, portato in alto, al di sopra delle battaglie per rovesciare l’ordine delle cose.
Gorang, dopo essere stato obbligato a far parte del meccanismo della prigione, interiorizza le terrificanti esperienze vissute  con Trimagasi (Zorion Eguileor) e Imoguiri (Antonia San Juan), i suoi due compagni di cella. Comprende il significato di responsabilità individuale: invece di cercare un solo unico nemico nella crudeltà del sistema e di agire egoisticamente per il proprio bene immediato, cerca di creare una catena solidale dando peso alle proprie azioni per il bene comune, in una battaglia disperata contro la corrente. O contro i mulini al vento, come il Don Chisciotte del libro che ha scelto di portare nel Buco.

il buco

Un film disturbante

Lo scenario della prigione è cupo, asettico, claustrofobico: immaginare la fine di quell’incubo diventa man mano sempre più difficile. Il linguaggio usato dalla pellicola è estremamente violento e sanguinario, il gore è prepotentemente presente in ogni sua forma, dalla furia omicida dei detenuti  al cannibalismo vero e proprio, la trasposizione più schietta della guerra per la sopravvivenza tra le persone più emarginate, e per la riconferma del proprio status tra quelle più privilegiate: è una sensazione soffocante, magnificamente resa.

Pur essendo low-budget, il film esprime una cura maniacale in tutti quei dettagli visivi che scioccano lo spettatore.

L’argomento del film però, per quanto offra molteplici spunti di riflessione, appare non solo qualcosa di “già visto” ma anche, a volte, fin troppo didascalico nelle rappresentazioni che utilizza, perdendosi spesso in spiegazioni di troppo. Il finale ha lasciato spiazzato il pubblico, che si divide in maniera netta fra chi ne ha apprezzato la spregiudicatezza e chi, invece, si aspettava un epilogo più originale.

Vuoi rimanere aggiornato sul tema del Cinema? Scopri la rubrica di Everyday News 

Flavia Pizzichemi

Laureata in Media, Comunicazione Digitale e Giornalismo, ha imparato a scrivere sul web di ciò che le piace. Non perde occasione di informarsi sul mondo digital, il grande schermo è un appuntamento irrinunciabile ogni settimana. E su EverydayNews ha trovato il modo di unire le sue più grandi passioni.